BLINDFOLD TEST
 
 
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BLINDFOLD TEST
Uno sguardo al jazz e alla critica musicale degli anni '60.

 

 

di Ettore Ulivelli



John Hammond, uno tra i piu' grandi scopritori di giovani talenti (a partire dagli anni '30 con Count Basie, Teddy Wilson, Charlie Christian e Billie Holiday), nel luglio del 1960 inizia una serie di trascrizioni di recensioni di LP, interviste, biografie di musicisti e fatti connessi con il mondo del jazz su Down Beat, rivista unanimamente leader riconosciuta nel settore della critica musicale e storiografia del jazz.
Le recensioni degli LP sono tratte da una rubrica ideata da Leonard Feather,l' acclamato musicologo, scrittore e organizzatore di concerti e sedute di registrazioni, che l'ha intitolata “The blindfold test” (Il test ad occhi bendati) durante il quale, al musicista, o critico, o esperto ospite di turno, venivano fatti ascoltare brani di gruppi noti (mediamente 4 o 5) senza rivelarne l'identita'. Terminato l'ascolto, Feather chiedeva all'ospite di identificarne gli esecutori e, ovviamente, darne una valutazione espressa anche mediante un punteggio da 1 a 5 stelle.
Per ragioni di spazio, ho deciso di trascrivere tra i test sottoposti, quelli dei gruppi piu' noti del momento o che lo sarebbero diventati negli anni.
Come si vedra', alcuni di questi test vi riveleranno giudizi controcorrente rispetto all'opinione generale, (oggi diremmo “omologata”) che proprio in quanto tali non potranno non suscitare anche in voi lettori di questo sito reazioni di vivo stupore.

John Hammond risponde a Leonard Feather

Randy Weston - ”Pam's Waltz"
“Ah, questo e' un disco di cui vado pazzo. E' un bellissimo brano, molto ben eseguito. Lo definirei un walzer in 4/4 perche' pur essendo un walzer (quindi in 3⁄4 n.d.t.) possiede una propulsione di qualcosa d'altro. E il batterista suona prevalentemente in 4/4. E a tale proposito, osservo che sarebbe stato di maggior effetto se il batterista ci avesse dato il ritmo di un walzer. Non ho alcuna obiezione nei confronti dei walzer nel jazz dato che, dopo tutto, rappresentano una danza genuina. Anni fa, feci un disco per la Columbia intitolato “Waltz Night at the Savoy del quale sono ancora innamorato. Vedi, il solo problema dei walzer e' quello di spingere i musicisti a “sentirli” - ma qui il pianista lo ha sentito veramente: era musicalmente valido, in ogni modo – un brano straordinario. Gli do' 4 stelle.

Modern Jazz Quartet -” Vendome” (da Pyramid, Atlantic)
“Stupendo! Credo sia una fuga di Bach, eseguita da John Lewis...o forse no, ma e' comunque eseguita splendidamente. La coesione del quartetto e' decisamente grande. Al vibrafono mi e' sembrato proprio Bags (soprannome di Milton Jackson n.d.t.), il pianista sembrava John.
Ma poi, potremmo anche scoprire che sono i Mastersounds anche se non mi sembrano perche' il basso (Ray Brown n.d.t.) non mi suona come un basso elettrico. Il disco mi e' piaciuto e gli darei 5 stelle perche'' e' un disco che vorrei avere.”

Ornette Coleman - “Congeniality” (da “The shape of jazz to come”, Atlantic)

“Questo e' un disco tremendamente interessante per me, Leonard, perche' sospetto che sia Ornette Coleman, un musicista, tra l'altro, di cui non sono un grande fan. Cio' malgrado nel suo modo malato di suonare, c'e' un reale e considerevole talento che non e' assimilabile a Charlie Parker, per dire; quest'uomo ha qualcosa di suo da dire.
Ed e' curioso che io abbia avuto piu' da questo disco che dalle sue performance dal vivo al Five Spot. Una cosa che mi e' sempre piaciuta del gruppo di Ornette, e' che basso e batteria mantengono sempre una pulsazione costante ....la tromba proprio non c'e'.
Credo che Ornette sia vittima di una tragedia che gli e' capitata. Infatti qui' abbiamo un uomo di considerevole talento che e' stato troppo strombazzato. Il risultato e' che invece di stabilizzarsi ed evolversi, produrre qualcosa di valido, finira' per essere sempre piu' incasinato nel suo modo di suonare. Comunque, per il talento che si sente qui, do' a questo disco 3 stelle; ma la mia previsione e' che invece di migliorare diverra' sempre di piu' una noia.”

Un anno dopo, Don de Micheal su Down Beat del maggio 1961, recensisce un altro LP di Ornette Coleman: “This is our music” e vi rimando alla prossima per confrontare i due giudizi.

 
   
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