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Jazz a Casa Caracca: STEVE NELSON

di Duccio Castelli



25 Ottobre 2016: il pomeriggio grigio autunnale passa intenso, in casa di Massimo Caracca, nella lombarda landa di Cermenate. Ex fattoria credo, ben ristrutturata, e ci finiamo in una ventina di fedelissimi, altrove male accolti da chi poteva accogliere un evento importante, di musica, di arte, di cultura.
E' Steve Nelson. Sessantaduenne nero americano grande jazzista. Uno di quelli che contano, che fanno la storia. Vibrafonista eccelso, per un decennio al fianco di Dave Holland.    Eppure, come Gesù che nasce a Betlemme, non c'è posto qui nel comasco e dintorni per lui, nei siti preposti alla musica. Così ci troviamo come carbonari, come catacombisti del primo secolo.. a scaldarlo con i nostri fiati mentre lui schiude a noi il suo talento, il suo messaggio tangibile.

Entro in ritardo e taccio, sta suonando. Subito mi prende alla gola la presenza che riconosco, quella del grande artista, rara. Immediatamente sorrido ad una prima sua frase musicale, una sfumatura , che mi tocca e saluta. E' intriso di carisma l'uomo asciutto e ancora giovanile, che battezza con le sue bacchette morbide le tavole del suo vibrafono come pastore d'incensi, ora fulmineo, ora sfiorato, ora baciato dalle sue note e dai suoi arpeggi. Sopra tutto aleggia un colossale, elegantissimo swing, la magica parola, il concetto primo, e quello ultimo, di Jazz. Parla e conversa, a parole, come pure a frasi di musica - che reciprocamente ci scambiano ruoli - per affermare concetti, raccontare le loro, le sue, storie. E' uno dei punti che poi ci conferma a voce durante la vitale lezione-concerto.  Così come ci confida l'importanza delle pause nella musica, la musica del silenzio. Con simpatia e fascino ci riversa in un paio di ore la sua esperienza di jazzman americano "di quelli veri", ci passa il testimone, ci investe di missione.

Missione oggi disperata. Ma da non tradire, mai. Ai miei amici professionisti di Jazz classico, l'altro giorno qualcuno gli ha detto che sono morti, che quel nostro jazz è morto. E lo han detto degli organizzatori di  Festival.
Mai avrei voluto arrivarci, a questo punto. Ma così pare sia, anche se non ci credo. Anche se vedo che siamo ancora con qualche giovane, anche se con tanti vecchi.  Oggi c'era in sala  Marco Bianchi, tra i migliori vibrafonisti d'Europa. Giovane e con le sue speranze. E poi altri presenti e jammanti, colonne portanti e non vecchi, tra cui spiccavano Ferrario, Faraò, Zunino.
Bravo Caracca, bravo jazzman e bravo per avere pensato ed averci dato questa giornata, che è da ripetere, spesso, in chiave maggiore. E fertilizzata.

 
 
   
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