Fletcher Henderson
 
 
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Fletcher Henderson

 

 


di Duncan Schiedt

 

 


The Fletcher Henderson Story – A Study In Frustration è il titolo di un cofanetto di long-playing, ora riversato in compact disc, pubblicato dalla Columbia Records negli anni Sessanta. John Hammond, in una prefazione al libretto con le note esplicative di Frank Driggs, giustifica l’uso del titolo descrivendo dettagliatamente alcune delle frustrazioni provate nell’occuparsi di Henderson proprio mentre elencava le frustrazioni che costellavano il corso della carriera del band leader. Il titolo della raccolta è ben scelto. Poche carriere nel jazz sono state più produttive nella creazione di un’intera corrente stilistica, ma fino a tempi abbastanza recenti era difficile trovare una documentazione sulla vita di Henderson e sulla sua influenza, al di là della semplice ossatura discografica. Può essere stato dovuto alla sua personalità: affabile , tranquillo, tollerante. Forse era perché la sua abilità jazzistica al pianoforte non era eccezionale. Forse era perché la sua non era una storia “dall’ago al milione”; Henderson probabilmente non fu mai “alla fame”. Neppure sembra essere mai stato “spinto”. hendersonBen conosciuto e rispettato nel mondo della musica, rimase di fatto un nessuno per quel pubblico che infine avrebbe abbracciato la musica che lui aveva generato: lo Swing. Non c’è da meravigliarsi che fino ai suoi ultimi giorni egli abbia sperimentato la frustrazione. Nato James Fletcher Henderson, era il primo figlio di genitori medio borghesi che vivevano nella città di Cuthbert, nel sudovest della Georgia non lontano dal confine con l’Alabama. La data era il 18 dicembre 1897. Seguirono prima una sorella, poi un fratello, Horace, nato nel 1904. Il padre era il preside della Randolph Training School; la madre insegnante professionista di pianoforte, strumento che entrambi i maschi avrebbero studiato, Fletcher dall’età di sei anni. Entrambi sarebbero andati all’università: Fletcher si sarebbe laureato in chimica all’Atlanta Universtity, mentre Horace, qualche anno dopo, avrebbe seguito le proprie inclinazioni musicali al Wilberforce College in Ohio, una istituzione nera che aveva un robusto programma di musica. Con l’intenzione di proseguire i suoi studi di chimica con un corso avanzato alla Columbia University di New York, Fletcher arrivò in quella città nell’estate del 1920, qualche settimana prima dell’inizio dei corsi autunnali. Per far fronte alle spese si assicurò un lavoro: suonava al piano le canzoni per gli eventuali clienti della casa editrice musicale Pace and Handy che, fondata un paio d’anni prima, approfittava della passione per il blues allora in voga e della popolarità dei blues composti dallo stesso Handy. Dato che il giovane Henderson leggeva la musica con notevole destrezza, era sempre occupato, e sviluppò rapidamente un vasto giro di conoscenze nel mondo degli affari musicali: compositori, parolieri, dirigenti discografici, musicisti e cantanti d’ogni sorta. All’improvviso, la vita musicale gli sembrò infinitamente più interessante della chimica, cosi la Columbia University e la specializzazione furono messe da parte. Nel 1921 il socio Harry Pace se ne andò per creare la propria casa discografica, che chiamò Black Swan, con quartier generale ad Harlem. Essendo la prima casa discografica di proprietà di un nero in tutta la nazione, si proponeva di presentare sotto la propria etichetta il meglio del talento nero, sebbene le sue prime uscite sembrino aver incluso brani registrati da un’orchestra bianca tanto quanto da genuine formazioni nere. Una delle sue prime stelle vocali fu un’alta e snella fanciulla già nota nel vaudeville come “ Sweet Mama Stringben” qualcosa come “dolce mammina fagiolino”, che in quei giorni si esibiva nel famoso club- cantina di Harlem chiamato Edmond’s. Il suo nome era Ethel Waters. Fletcher Henderson era stato uno dei primi ad essere reclutato dalla compagnia Black Swan dove, in qualità di “pianista di casa”, cominciò ad accompagnare diverse contanti, tra cui Miss Waters. Gradualmente, cominciò ad impiegare altri musicisti nelle sedute d’incisione, diventando, per la prima volta, un leader. A quell’epoca, Fletcher aveva già fatto sapere in Georgia che non aveva intenzione di proseguire la carriera di chimico, con un certo sollievo dei suoi genitori, che consideravano la chimica un mestiere pericoloso. Lavorare in una compagnia fonografica sembrava un’alternativa ragionevole. Ma quando Harry Pace decise di mandare Ethel Waters in tournèe nei teatrini di vaudeville per promuovere i suoi dischi Black Swan accompagnata da una piccola orchestra, Fletcher, che avrebbe dovuto dirigere la band, si intimorì. Prima di accettare di andare, disse che la sua famiglia doveva essere consultata. Pace pagò generosamente il biglietto del treno così che i vecchi Henderson potessero venire a New York, vedere la sede della società e incontrare Miss Waters, della quale non sapevano niente. Come lei ricordò più tardi nella sua autobiografia, sembrava che avesse superato l’ispezione, e i genitori, soddisfatti, tornarono in Georgia. La band era sbilanciata rispetto agli standard attuali, con un solo sassofono contrapposto a parecchi ottoni, pianoforte e batteria. All’inizio degli anni Venti i sassofoni erano ancora visti come strumenti per musichette alla moda, mentre i clarinetti erano i principali legni dell’epoca. Col procedere della tournèe, Fletcher, esercitando una dote evidente nel riconoscere talenti musicali, aprì occhi e orecchie nei confronti di promettenti musicisti. A Pittsburgh, ascoltò un giovane dell’Ohio, il cornettista Joe Smith; a New Orleans, mentre lo spettacolo andava in scena al Lyric Theatre, incontrò un talento ancora più strepitoso, un giovane cornettista che si chiamava Armstrong, offrendogli un ingaggio immediato nella band del tour. Louis Armstrong avrebbe accettato solo se fosse stato assunto anche il suo amico Zutty Singleton, batterista. Fletcher, che aveva già con sé un batterista di New York, fu costretto ad andarsene senza Armstrong, ma se lo sarebbe ricordato. Nel corso del tour , Ethel Waters era sempre meno soddisfatta degli accompagnamenti di Fletcher che considerava piuttosto pesanti, e lo stimolava a mettere un po’ più di “ jazz” nel suo modo di suonare. A Chicago, egli fece ascoltare alcuni nuovi rulli di pianola perforati dal pianista di Harlem James P. Johnson, il cui stile era più di suo gusto. Come succedeva spesso nel circuito del vaudeville nero, il tour si trovò improvvisamente al verde lontano da casa ed ognuno fu abbandonato a se stesso. Fletcher era stato via per quasi sei mesi. Tornato a New York, avrebbe continuato a collaborare con Black Swan, ma utilizzando anche i suoi numerosi contatti nel mondo della musica per avere un lavoro di pianista con altre case discografiche, che in città erano molto numerose. Oltre che negli accompagnamenti per le famose cantanti di nome Smith, Bessie, Clara e Trixie (tra le quale non c’era nessuna parentela) il suo nome appare in qualità di pianista per decine di altre cantanti dell’epoca. Alcune voci avevano avuto un’educazione classica, altre avevano una lunga esperienza teatrale (“Ma” Rainey, per citarne una) e altre erano cosi scarse che si poteva sospettare che altre “doti” dovessero aver spianato loro la strada verso i solchi dei dischi! Fletcher prese tutti quelli che venivano, aggiungendo altri musicisti quando il bilancio lo permetteva, ma sempre prendendo i migliori tra quelli disponibili. Sebbene stesse gradatamente migliorando, il suo stile pianistico era sempre un po’ piatto, né meglio né peggio di quello del suo prolifico contemporaneo Clarence Williams, i cui accompagnamenti punteggiavano anch’essi il panorama discografico di quel periodo, sebbene la sua ambizione principale fosse mettere in piedi un’importante attività economica nell’editoria musicale, in cui ebbe successo. Col passare dei mesi, Fletcher incrementò il proprio reddito scritturando alcune piccole formazioni nelle sale da ballo di Harlem. Il personale di questi complessi cambiava, ma cominciò a formarsi un gruppo più o meno stabile, con cui Henderson era a proprio agio e sul quale sarebbe stato capace di costruire, una volta giunta l’occasione. Il principale era forse un multi strumentista della West Virginia, con esperienza di arrangiamento, che si chiamava Don Redman. Il trombonista Joe Smith era libero e disponibile. Un veterano del circuito delle feste di carnevale, Charlie “Big” Green, di Omaha, Nebraska, suonava il trombone in modo maestoso. Charlie Dixon, suonatore di banjo con un certo talento di arrangiatore, veniva dall’area di New York e del New Jersey. Un portoricano di raffinata educazione musicale, Ralph Escudero, di un anno più vecchio di Fletcher, suonava il contrabbasso e il tuba. Alla batteria c’era Joseph “Kaiser” Marshall, nato in Georgia ma cresciuto a Boston, Massachusetts. Ma di tutte queste voci orchestrali, nessuna avrebbe tessuto una tela più ampia di quella del sassofonista Coleman Hawkins, un nativo del Missouri che era maturato nei Jazz Hounds di Mamie Smith, una band itinerante. hendersonDopo una seduta d’incisione pomeridiana allo studio di Manhattan della Columbia, un gruppo di quei musicisti fece due passi per qualche isolato più in giù fino alla famosa Roseland Ballroom, dove aveva spesso fraternizzato con i musicisti che vi lavoravano. Essi sentirono parlare di un’occasione per un’orchestra nera nel vicino Club Alabam. In effetti le audizioni erano già in corso. Gli uomini di Fletcher volevano provarci immediatamente, ma il leader esitava, sostenendo che non erano preparati, e che comunque erano senza contrabbassista e batterista (i due strumenti erano generalmente esclusi dalle sedute di registrazione per la loro tendenza a saturare il suono rovinando le matrici di cera). Tuttavia l’insistenza degli altri prevalse e , con grande sorpresa di Henderson, furono ingaggiati. I trecento dollari alla settimana offerti dal club erano lontani dall’essere un salario generoso per un’intera orchestra, ma gli introiti discografici potevano colmare la differenza. Eccetto che per Joe Smith, uno spirito libero che stava per andarsene all’improvviso verso un lavoro più interessante (si unì al musical di Broadway “ Chocolate Dandies”),la band che suonava al Club Alabam era essenzialmente quella descritta più sopra. Due trombettisti avrebbero condiviso il peso delle esecuzioni, Howard Scott ed Elmer Chambers, e sul palco si potevano trovare o Charlie Green o un altro trombonista, Teddy Nixon. Fletcher, confinato al pianoforte, fu obbligato ad assumere qualcuno che potesse tenere la bacchetta, soprattutto durante gli spettacoli di teatro e di danza, e scelse Allie Ross, che suonava anche il violino. La band divenne rapidamente un gruppo con una tenuta perfetta, come era necessario, perche un’orchestra di night club doveva soddisfare molta gente: cantanti, un coro, il corpo di ballo e, cosa decisamente importante, i clienti che volevano ballare. Per l’orchestra si trattava di nuotare o andare a fondo, e loro scelsero di non affondare! Sebbene usassero arrangiamenti già pronti forniti dalle case editrici, i cosiddetti “stock arrangements”, cresceva il numero dei lavori originali di Redman; più difficili, ma infinitamente più interessanti. L’orchestra cominciava ad assumere una propria identità. Saggiamente, Redman metteva a disposizione degli spazi solistici tra i passaggi d’insieme, e permetteva di improvvisare durante gli assoli. In questo, andava contro la moda corrente delle grandi orchestre bianche del periodo, esemplificate da quella di Whiteman, i cui arrangiatori tendevano sempre di più a scrivere fino all’ultima pausa, all’ultima croma. Ciò nonostante, le prime registrazioni nello stile Henderson-Redman rilevano un’orchestra non del tutto pronta ad essere chiamata un’orchestra jazz. C’è un po’ la sensazione che la band cercasse di ingraziarsi quello che riteneva essere il gusto dei bianchi, le loro aspettative, e che forse non fosse completamente sicura di come fare qualcosa d’altro. Mentre questo portava ad una mancanza di sincerità nel suonare “hot”, con inflessioni jazzistiche, c’e una sorta di assenza di scioltezza e di rilassatezza che si dovrebbero invece trovare anche nei momenti di tensione musicale se la musica deve essere considerata jazz. Ancora poco tempo, e l’impatto di dischi come quelli del grande King Oliver sarebbe stato sentito dall’intera comunità musicale di New York, e certamente nell’orchestra di Henderson. Lo stile di New Orleans non interessava particolarmente né a Redman né a Henderson, ma l’attacco e il calore dei singoli musicisti sì, e poteva almeno aiutare a colorare il modo di suonare della band al Club Alabam. Ci fu un costante miglioramento; i clienti e gli altri musicisti notarono l’aumento di spirito e di vivacità nei singoli passaggi in assolo. Verso la metà del 1924, in una di quelle circostanze apparentemente sfortunate che poi si risolvono invece in un colpo di fortuna, la band fu fuori dal Club Alabam e per breve tempo dentro al Roseland, il prestigioso palazzo delle danze nella zona più ricca della città. Il cambiamento era dovuto al fatto che la cantante attorno alla quale era costruito il programma, Edith Wilson, aveva chiesto che Coleman Hawkins le fornisse un accompagnamento speciale durante l’esibizione. Hawkins rifiutò a meno che non lo avessero pagato di più per la presentazione straordinaria. Come suo solito, Henderson sembrava starsene fuori dalla discussione, non facendo nessuno sforzo manifesto per ricondurre Hawkins alla disciplina o per ammorbidire la direzione del locale, con la quale sembra si fosse lamentata Miss Wilson. Quando poi fu chiesto ad Henderson di licenziare la sua stella del sassofono, l’intera orchestra si ritenne offesa, e diede il dovuto preavviso di licenziamento, approfittando in breve tempo della proposta già avanzata dalla direzione del Roseland. Così cominciò una storica collaborazione che sarebbe continuata ininterrottamente per cinque anni, segnando il periodo della maggiore crescita dell’orchestra. All’inizio dell’anno, Joe Smith era ritornato nel gruppo, portando a tre la sezione delle trombe. In autunno, Smith se n’era andato un’altra volta. Cercando un sostituto, Fletcher mandò un invito a Louis Armstrong, che era ancora con King Oliver, affinché lo raggiungesse al Roseland. Dopo una profonda riflessione, e incoraggiato dalla sua nuova moglie, Lil, che poteva vedere quali opportunità di carriera offrisse il trasferimento, Louis accettò. Dopo un paio di settimane, su raccomandazione di Armstrong, lo straordinario clarinettista e sassofonista Buster Bailey avrebbe lasciato a sua volta la band di Oliver. Questo sarebbe stato l’ultimo elemento nella costruzione di quella che doveva essere l’orchestra nera più influente e rispettata d’America, con una scuderia di stelle e partiture estremamente stimolanti, una sede sicura e preziosi contratti con case discografiche più o meno grandi. A ventisette anni, Fletcher Henderson era pronto al successo. Comunque non fu una trasformazione istantanea. All’inizio, i veterani dell’orchestra diffidavano dei nuovi arrivati. Don Redman ha lasciato delle memorie in cui riassume quello che gli atri devono aver provato. In un’intervista con il saggista Frank Driggs concessa una quarantina d’anni dopo, parla del suo sgomento nel vedere Louis Armstrong alla stazione ferroviaria di New York: sovrappeso, con ai piedi grosse scarpe da poliziotto e con un lungo paio di mutandoni infilato nelle calze. Redman ricorda di aver brontolato fra sé “Chi diavolo è questo?”. Per Armstrong e per Bailey, le prime prove con l’orchestra portarono ad una conferma definitiva. Per quanto riguarda Buster Bailey, una “sfrigolante” serie di ringhiosi ritornelli su Tiger Rag convinsero Redman e Hawkins, i suoi futuri compagni di sezione. Louis aveva già conquistato gli altri con il suo fascino naturale, se non con la abilità di lettura. Gli arrangiamenti, notoriamente difficili, gli stavano per dare qualche problema, ma Louis imparava in fretta. Gli errori, quando ne faceva, erano raramente ripetuti. Il ben noto umorismo di Armstrong avrebbe disarmato Henderson in più di un momento imbarazzante. Fletcher, che alle prove era tanto esigente quanto durante i concerti, amava raccontare di una volta che l’arrangiamento richiedeva un rapido diminuendo. Tutti , eccetto Louis, osservarono l’indicazione e il cornettista esplose a tutto volume finché non fu ricondotto al silenzio dall’irritato direttore, che disse “ In questa orchestra, noi ci limitiamo a leggere le note, ma osserviamo anche i segni d’espressine. Non sai cosa significa pp?” A cui Louis, dopo un attimo di esitazione, replicò “ Certo, significa pesta pesantemente, no?” Henderson e l’orchestra scoppiarono a ridere. Al Roseland si seguiva il sistema della doppia orchestra, nel senso che ciascuna suonava alternando i set, non lasciando mai i ballerini senza musica. Sebbene quella di Henderson non fosse la prima orchestra nera scritturata in quel locale (la prima fu la formazione New Orleans di A.J. Piron) questo creava il più profondo interesse mai provato per ogni altra band ingaggiata in precedenza, specialmente tra i musicisti bianchi della città. Sciamavano a frotte per ascoltare il gruppo Henderson, e in particolare la sua nuova stella alla tromba, che non solo suonava il suo strumento in un modo che non avevano mai sentito, ma poteva anche prodursi in un sensazionale canto ritmico, sebbene Henderson non sembri aver prestato una particolare attenzione verso questa dote di Armstrong. Di fronte a loro c’era l’orchestra bianca di Sam Lanin, i cui dischi si potevano trovare sotto le più diverse etichette, usando una gran varietà di pseudonimi come Red Nichols. Anche i musicisti di un’orchestra concorrente che suonava nella vicina Arcadia Ballroom venivano al Roseland dopo la chiusura per ascoltare il gruppo di Henderson, e i Wolverines, con Bix Beiderbecke, si fermavano per suonare in jam-session con i colleghi neri. I dischi realizzati durante l’anno che, più o meno, Armstrong trascorse con la band, non danno che una vaga impressione di cosa egli abbia significato per l’orchestra. Per tutti si risolse in un’apertura degli occhi e delle orecchie, determinante soprattutto per l’arrangiatore Redman, le cui idee su come dovesse suonare una grande orchestra furono solo migliorate dal magnifico jazz della sua terza tromba. Con l’ampliamento dell’orchestra, si allargò anche la visione di Redman, e attraverso i dischi possiamo solo tracciare un grafico della direzione presa dal suo pensiero musicale. hendersonÈ stato Redman che, cominciando a costruire una ricca collezione di arrangiamenti originali, l’ha portatta ad avere un suono diverso da quello d’ogni altra orchestra, a suonare non all’unisono, ma in contrapposizione, secondo il modello che è stato definito “ call-and-response”, “ chiamata e risposta” o più esattamente “antifonale “. In breve, Redman preparò il terreno per quello che, negli anni seguenti, sarebbe stato chiamato lo stile dell’età dello swing. La reputazione dell’attivissimo arrangiatore era arrivata a tal punto che ben presto gli furono commissionati arrangiamenti per le più importanti orchestre bianche di New York, come quelle di Paul Specht e di Vincent Lopez. La vita privata di Fletcher arrivò ad una svolta definitiva nel 1924 quando si sposò con Leora Meoux, anche lei musicista che prima era stata la moglie di uno dei futuri valenti trombettisti di Henderson, Russell Smith, fratello maggiore dell’erratico Joe Smith. Fletcher non guadagnò solo una moglie, ma anche una compagna equilibrata che nel corso del loro lungo matrimonio lo avrebbe aiutato a prendere molte decisioni. Dato che l’estate era un periodo fiacco per il Roseland, l’orchestra era libera di girare per la nazione, cosa che faceva allargando la propria reputazione e costruendo un mercato per la sua crescente produzione discografica. Quando nell’orchestra si apriva qualche raro vuoto, denaro e prestigio attraevano molti pretendenti, ma per molti era una speranza di breve durata, poiché Fletcher, consumato giudice di talenti, preferiva lasciare un posto vacante piuttosto che riempirlo con un musicista di livello inferiore al precedente. Joe Smith ritornò nuovamente e questa volta sarebbe rimasto per un bel po’. La collaborazione con Armstrong diede alla sezione delle trombe una sonorità imbattibile. Hawkins stava passando con ferma sicurezza dal primitivo stile “slap-tongue”, a colpi di lingua”, che aveva caratterizzato i suoi primi anni e cominciava ad essere notato in città man mano che il suo fraseggio e il suo attacco miglioravano. Bailey e Redman (che di solito suonavano il sassofono contralto) completavano una formidabile sezione di tre sassofonisti, che sarebbe rimasta invariata fino alla partenza di Redman nel 1927. In molti dei loro dischi si ascolta come un marchio di fabbrica il trio di clarinetti, una delle invenzioni preferite di Redman. Usato di rado ai nostri giorni, fu introdotto negli anni Trenta da Fletcher nel proprio grande periodo di arrangiatori. Elencare i nomi dei musicisti che entrarono ed uscirono dalla Fletcher Henderson Orchestra nelle sue diverse edizioni equivale a leggere un Who’s Who del jazz. I primi successori di Louis Armstrong furono Rex Stewart e Tommy Ladnier, con Russell Smith nel ruolo di prima tromba ( che avrebbe mantenuto per gran parte del decennio). Ladnier sarebbe stato la cosa più simile ad un trombettista di New Orleans fino all’avvento di Henry “Red” Allen. Stewart, come lui ricordò più tardi, dovette quasi essere spinto dentro l’orchestra, tanto era incerto sul tentare di mettersi nei panni di Armstrong. Altri musicisti notevoli nella sezione delle trombe furono Bobby Stark, Joe Thomas, Irving “Mouse” Randolph, Dick Vance, Emmett Berry, Peanuts Holland e il motore della formazione schierata nel 1936, Roy “ Little Jazz” Eldridge. Strepitosi trombonisti furono Jimmy Harrison, Claude Jones, Benny Morton, J.C. Higginbotham, Sandy Williams, Dicky Wells, Fernando Arbello, Keg Johnson e Ed Cuffee, molti dei quali ora sono solo nomi nei testi di consultazione, ma che ai loro tempi onorarono le file dell’orchestra con la loro abilità e brillante presenza. Tra i sassofonisti, si possono nominare luminari della struttura di Benny Carter ( che fu anche il principale arrangiatore di Henderson dopo Redman), Ben Webster, Edgar Sampson, Hilton Jefferson, Russell Procope e Leon “Chu “ Berry. I contrabbassisti June Cole, John Kirby e Israel Crosby si affiancarono a grandi batteristi come Walter Johnson e Sidney Catlett, che trascinò la magnifica orchestra del 1936. Negli anni Venti Fletcher lasciò raramente il seggiolino del pianoforte, ma quando lo faceva di solito era in favore del fratello Horace o del frizzante Fats Waller, il cui contributo comprendeva anche composizioni originali, alcune delle quali furono anche incise da Fletcher: Henderson Stomp, Whiteman Stomp, hot Mustard e St. Louis Shuffle. Poiché abitualmente Waller vendeva le proprie composizioni a Redman o a Henderson a prezzi ridicolmente bassi, senza assicurarsi la protezione dei diritti, può essere che non portino tutte il suo nome, ma è probabile che questi siano genuini lavori di Waller. Per parte sua, Horace, dopo un lungo periodo passato tranquillamente a dirigere la sua orchestra universtitaria alla metà degli anni Venti, lavorò a Chicago e a New York prima di unirsi a Fletcher alla metà degli anni Trenta come pianista e parte del gruppo di arrangiatori, ruolo in cui si rivelò eccellente. Com’è già stato detto, Don Redman lasciò la band di Henderson nel 1927, accettando l’attraente offerta di assumere la direzione musicale di un’orchestra basata a Detroit, i McKinney’s Cotton Pickers. Questa orchestra diretta in origine da un ex batterista, William McKinney, era diventata popolare nel suo territorio, ma non aveva ancora avuto il suo gran momento. Redman, attraverso i suoi contatti, l’avrebbe rapidamente portata da un notorietà regionale alla fama nazionale, cominciando con delle registrazioni per la Victor a Chicago, poi quando la band lavorava all’est, negli studi di Camden nel New Jersey. Prendendo in orchestra dei notissimi musicisti di New York, spesso solo per registrare i dischi, Redman portò la reputazione della band al punto che le scritture si moltiplicarono e il programma delle tournèe divenne formidabile. Dopo una serie di impegni particolarmente estenuante, la band ritornò a Detroit esausta e demoralizzata, e decise di non proseguire. Si sciolse spontaneamente e Redman condusse parecchi musicisti a New York, dove formò un’orchestra a proprio nome. Il resto si organizzò sotto la direzione di McKinney, ma non avrebbe più ritrovato la statura precedente. Per un po’ di tempo dopo che Redman ebbe lasciato l’orchestra di Henderson, gli arrangiamenti furono forniti da diversi autori. Redman stesso poteva averne aiutati alcuni, ma il nome più importante di quel periodo è quello di Benny Carter, la cui vita musicale eccezionalmente produttiva fino ad oggi ha superato i settant’anni. Carter aveva lavorato con l’orchestra universitaria di Wilberforce diretta da Horace prima di iniziare la collaborazione con Fletcher, che cominciò in qualità di esecutore –arrangiatore alla metà degli anni Venti per continuare dopo il 1934 solo come arrangiatore. Alcuni dei suoi lavori più conosciuti sono Come On Baby, Easy money, Freeze And Melt, Blazin’Somebody Loves Me, Keep A Song In Your Soul, Sweet And Hot, Limehouse Blues e Happy As The Day Is Long. Ce ne sono, naturalmente, molti altri. Anche Horace Henderson si sarebbe affermato come uno dei principali collaboratori della raccolta dei brani di Henderson, sopratutto negli anni Trenta. Scrisse abili ed eccitanti arrangiamenti quali Hot And Anxious, Nagasaki, Yeah, Man, Queer Notions, Jamaica Shout, Rhythm Grazy, Minnie The Moocher’s Wedding Day, Big John’s Special, Rug Cutter’s Swing, Hotter Than ‘Ell, Rosetta, Christopher Columbus, Blue Lou e Grand Terrace Rhythm. Oltre a Redman, Carter e Horace, gran parte della raccolta ben noti dell’epoca, fino a Russ Morgan, I cui arrangiamenti di Wild Party e di Tidal Wave sono semplicemente memorabili. Lo scomparso Walter C.Allen, nella sua monumentale bio-discografia Hendersonia (1) (pubblicata nel 1973) fornisce una ricchissima documentazione-nomi, date e luoghi- e profonde analisi musicali. Affronta anche la produzione dei diversi arrangiatori, compreso lo stesso Fletcher, e mette a confronto i meriti di ciascuno. Sostiene che mentre Redman può essere stato il più prolifico tra quelli che diedero il primo contributo alla collezione degli arrangiamenti, le sue partiture, come pietre miliari sulla strada verso Swing Era, non sono all’altezza di quelle di Fletcher. Scarta una parte del lavoro di Redman definendolo troppo “ impegnato”, accusa sostenibile, ma dati i tempi, del tutto perdonabile. Come succedeva con molti arrangiatori, Redman dedicava alla sperimentazione solo una parte del suo tempo, e non può essere negato il ruolo fondamentale che ha avuto nella storia di questa grande orchestra. Il punto di vista di Allen, tuttavia, non è privo di fondamento. E un fatto che all’inizio e specialmente alla metà degli anni Venti, e orchestre, allo scopo di servire le grandi sale da ballo, che si cominciavano a costruire in tutta la nazione, fossero esse stesse costrette ad aumentare le proprie dimensioni. Con la crescita del numero degli strumenti venne la corrispondente necessità di arrangiamenti più formali, che vennero forniti dai pionieri come Redman. Questi tendevano a diventare più complicati, e per questo il termine “ impegnato” sembra piuttosto appropriato, quando gli arrangiatori iniziarono ad esplorare tutte le possibilità dell’arte. Se mettiamo a confronto le partiture dell’epoca Henderson-Redman, tra il 1926 e il 1927, con il meglio delle partiture della seguente età dello Swing, ( quelle che Fletcher realizzò alla metà degli anni Trenta) troviamo una tendenza verso la direzione voluta, una scrittura più focalizzata, una ornamentazione musicale estremamente ridotta e la quasi totale assenza di effetti distraesti bassamente spettacolari. Il perfezionamento degli schemi antifonali, l’uso crescente dei riffs eseguiti da sezioni intere e il progresso nell’uso delle diverse voci strumentali unito ad un roccioso tempo di 4/4 stavano per caratterizzare i maggiori arrangiamenti di quel periodo. Le dinamiche, variazioni volute del volume di suono di un’orchestra, sarebbero state un altro marchio di fabbrica dell’arrangiamento raffinato. Ironicamente, come una stella con i secoli si ingrandisce al punto di collassare in se stessa, gli arrangiatori dell’età dello swing crearono in seguito le condizioni per il decesso della loro musica (con la complicità dei loro leader) attraverso gli sforzi per diventare più raffinati, più d’avanguardia, meno dipendenti dal ritmo di base, e poi di abbandonare del tutto le variazioni di dinamica mentre le orchestre chiedevano di superarsi una con l’altra nell’innalzare muraglie di suono. In questo, semplicemente si bruciavano, perdendo, nel processo. Proprio la gente che aveva viaggiato con loro lungo tutto il cammino. Quando i ballerini smisero di voler ballare, la festa era finita, e una generazione di cantanti fu pronta a cogliere l’occasione, per non lasciare mai più la presa sul gusto del pubblico di massa. Ma questa è un’altra storia. Mentre Fletcher Henderson si avvicinava alla fine degli anni Venti, c’era nell’aria un sentore di cambiamento. Il mondo della musica continuava a fare affari, sebbene le vendite dei dischi calassero, riflettendo l’invasione della radio come veicolo di intrattenimento e la nazione sembrava sempre prospera, capitarono parecchie cose. Dopo Redman, e prima dell’arrivo di Benny Carter, gli arrangiamenti provenivano da diverse fonti, e l’ orchestra stava cominciando a prendere la propria identità. Da un’altra parte, altre orchestre stavano adesso crescendo fino a sfidare seriamente la posizione di Henderson alla testa del gruppo: Duke Ellington, Luis Russell, Fess Williams, i Missourians ( che stavano per essere presto diretti da Cab Calloway) mentre dietro le quinte c’erano già le giovani orchestre di Chick Webb, Claude Hopkins e Jimmy Lunceford, per non dire della produzione dell’Ovest rappresentata da Bennie Moten. Molte di queste orchestre erano sotto la scaltra direzione commerciale di uomini che avevano contatti a tutto campo nel mondo degli affari musicali e spesso nel mondo poco pulito delle organizzazioni criminali che controllavano molti dei locali migliori. Henderson aveva goduto troppo a lungo di una non contrastata posizione dominante, ed ora reagiva con lentezza al cambiamento di situazione. Ci fu un preavviso dei tempi più difficili alla fine di agosto del 1928, quando un bus che portava Henderson e molti dei suoi musicisti perse il controllo in una strada del Kentucky e slittò sopra un terrapieno, capovolgendosi fuori strada. Fletcher, l’unico che avesse riportato ferite gravi, prese un terribile colpo alla testa ed ebbe dolorosi danni alla spalla sinistra e al collo. Dopo un breve ricovero ospedaliero, tornò di nuovo al lavoro in uno studio di registrazione di Chicago alla metà di settembre, ma per molti che gli erano vicini non sarebbe più stato lo stesso. Leora notò che, se non era mai stato un diligente uomo d’affari, dopo l’incidente era ancora meno interessato. Anche altri musicisti percepirono un atteggiamento più distaccato nei confronti della musica. La disciplina, che non era mai stata rigida, divenne ancora più rilassata, e alcuni degli uomini seppero trarre un gran vantaggio dalla situazione. Poco dopo l’incidente, Fletcher sciolse l’orchestra, riformandola in novembre per iniziare le prove in vista dell’apertura al Roseland il mese seguente. Questa sede sempre sicura, in cui le scritture erano misurate a mesi, anche a stagioni intere, ora offriva contratti giornalieri e settimanali. Nella primavera del 1929 ebbe inizio un episodio curioso e rivelatorio. Un nuovo spettacolo musicale di Vincent Youmand destinato ad essere intitolato “Horse Shoes” (titolo poi cambiato in “ Great Day”) fu pianificato per essere poi portato a Broadway. Costruito attorno ad una storia a sfondo razziale, avrebbe dovuto avere un cast di intrattenitori sia bianchi sia neri, comprese la compagnia teatrale negra di Miller & Lyles e la cantante Cosa Green. L’autore emergente di canzoni, Harold Arlen, truccato da nero, avrebbe interpretato il ruolo di un personaggio di nome Cokey Joe. L’orchestra di Duke Ellington, originariamente prevista per accompagnare in scena lo spettacolo, fu cancellata a causa di alcune incomprensione tra gli amministratori, e l’orchestra Henderson ricevette l’incarico. Essendogli stato offerto un vantaggioso contratto, Fletcher vide la necessità di far firmare nuovamente alcune delle sue vecchie stelle. Una era la prima tromba Russell Smith; un altro, incredibilmente, Louis Armstrong che, invece di viaggiare solo da Chicago, si portò dietro l’intera Carroll Dickerson Orchestra che in quel periodo stava suonando con lui. L’orchestra avrebbe dovuto onorare una scrittura in giugno alla Savoy Ballroom di New York. Il contratto di Henderson richiedeva un’orchestra ampliata con venti musicisti di più: archi, legni, corni. Fletcher passò l’incarico di reclutarli ad un amico di Harlem, Bert Hall, che cominciò ad assumere un gruppo di soli bianchi, mettendo fuori dall’orchestra mista sei musicisti di Fletcher. Fletcher, che non aveva esperienza di direttore per uno spettacolo, era soddisfatto di lasciare questo incarico ad un direttore bianco e di prendere il proprio posto al piano. Ben presto, altri uomini di Henderson furono buttati fuori, compreso Louis Armstrong, che fu ritenuto “inutilizzabile” per il lavoro orchestrale in uno spettacolo. Da questo sfacelo, che Henderson permise che succedesse senza apparenti proteste, nacque un gran risentimento tra i musicisti e presso la stampa nera locale che narrò l’accaduto con cronache molto dettagliate. Alcuni musicisti non perdonarono mai più Henderson per quello che era successo. Lo spettacolo debuttò con solo cinque membri dell’orchestra originale, compreso Fletcher. In seguito, durante le recite di collaudo in provincia, anche loro furono scaricati e lo show, afflitto anche da altri problemi, debuttò a Broadway il 17 ottobre per finire dopo solo trentasette repliche. In aggiunta al danno, l’orchestra Henderson non incise mai su disco nessuna delle due grandi canzoni che vennero fuori da quello spettacolo: Great Day e Without A Song! In effetti, l’orchestra di Henderson non registrò niente del tutto tra il 16 maggio 1929 e il 3 ottobre 1930. Da questo punto più basso, nonostante l’irruzione della Grande Depressione, la carriera di Fletcher sembrò risollevarsi. Nel 1931 aveva cominciato a trovare interesse ad arrangiare di propria mano. Mentre è provato che l’avesse fatto nel periodo in cui lavorò per la Black Swan nel 1921, aveva praticamente lasciato il campo ad altri per tutti gli anni Venti.henderson Ora era ancora in grado di dirigere un orchestra di cui ogni leader sarebbe stato fiero, e mettendo maggiormente l’accento sui riffs, ne derivò un metodo cooperativo per creare le orchestrazioni. Diversi orchestrali suggerivano le frasi adatte, risposte idonee e finali spesso inusuali. In quei primi anni Trenta, Fletcher imparava da quel che faceva, imparava insieme ai suoi uomini, e quello che metteva su carta era pura eccitazione. Alcuni dei più grandi musicisti della storia di Henderson vengono da quei giorni inverosimili, giorni caratterizzati da un numero minore di registrazioni discografiche e da buste paga più sottili. Il gusto popolare americano era scivolato via dal cosiddetto hot jazz, ma l’appetito per il jazz americano era robusto oltre Oceano. Un gran numero di registrazioni discografiche destinate esclusivamente ad essere pubblicate di là del mare produssero una parte delle più remunerative musiche del decennio, sebbene per ragioni contrattuali le orchestre dovessero registrare sotto il nome di altri leader o sotto evidenti pseudonimi. Fletcher era famoso per la difficoltà degli arrangiamenti, molto spesso per la sua scelta delle tonalità, che difendeva affermando che i diesis, per esempio, gli suonavano più brillanti. Non si sa quanti musicisti siano andati a schiantarsi sugli scogli delle partiture di Fletcher, ma molti hanno detto che preferivano le tonalità più normali di Horace, generalmente caratterizzate dai bemolle che si eseguivano con maggiore facilità. Gli anni volavano via, segnati da arrivi e partenze. John Kirby, Red Allen, Hilton Jefferson e altri prestarono all’impasto i loro colori speciali. Nel 1934, uno dei veterani più fidati, Coleman Hawkins, lasciò l’orchestra per passare alcuni anni in Europa. Dopo aver provato senza successo a sostituirlo con Lester Young ( Leora cercò valorosamente con una serie di sedute nella residenza degli Henderson di trasformare il suono lieve di Lester nella robusta sonorità di Hawkins), Fletcher si assicurò finalmente il più vicino ad Hawkins, Ben Webster. Quell’autunno, lavorando sotto un nuovo contratto con la Decca (essa stessa una nuova compagnia) Fletcher realizzò tre sedute d’incisione e vi collocò alcune delle sue composizioni originali: Down South Camp Meeting, Big John’Special e Wrappin’It Up, tutti brani che col senno di poi possono essere definiti “classici istantanei”. Ma accadde quello che subito apparve come un disastro quando, nel corso di una tournèe la band non riuscì ad avere i suoi soldi e prendendosela almeno in parte con Fletcher, rassegnò in massa le dimissioni. Dopo poco tempo, il fratello Horace portò all’Apollo Theatre di Harlem la musica della band e i musicisti rimasti per un ingaggio. Fletcher , senza orchestra e senza arrangiamenti, doveva far fronte ad un contratto che lo impegnava all’Harlem opera House, solo qualche porta più in là dell’Apollo, e mancavano solo tre giorni all’inizio dell’impegno. Reclutando precipitosamente un’orchestra messa su con gli Arcadians di Charlie Turner con l’assistenza del trombettista Louis Metcalf, Fletcher e sua moglie Leora fecero le ore piccole per produrre un po’ di musica e permettere l’inizio del lavoro, solo per scoprire che folle di curiosi compravano i biglietti di entrambi i teatri per vedere come andassero le cose in ciascuna delle due orchestre, mentre la storia prendeva le prima pagine dei quotidiani locali! Ma i guai per l’orchestra di Fletcher sarebbero presto stati mitigati da un ulteriore sviluppo. La sua musica era destinata a giocare un grande ruolo nell’inizio di un’intera era musicale, ma questo non sarebbe stato attribuito ad Henderson, non almeno per parecchi anni. Il musicista che avrebbe raccolto fama e fortuna come “ Re dello Swing”, un occhialuto, un po’ introverso clarinettista che si chiamava Benny Goodman, avrebbe lanciato quell’era, improvvisando su una serie di classici arrangiamenti presi da Henderson e, in misura molto minore, da altri autori quali Jimmy Mundi, Mary Lou Williams, Edgar Sampson e Spud Murphy. Negli anni 1934-40, i più grandi di Fletcher, è stimato che egli produsse oltre trecento diverse orchestrazioni per Goodman, di gran lunga la parte più affascinante della sua produzione, sebbene non sia facile averne una esatta documentazione: i dischi tendono a scomparire. Tra questi notevoli lavori, diverse versioni dei quali sarebbero restate nel repertorio della band di Goodman fino alla fine della sua vita, è difficile selezionare una sola manciata di arrangiamenti per una menzione particolare. Uno , che divenne uno dei preferiti di Goodman tra tutti quelli di Henderson, era la partitura realizzata nel 1935 per Sometimes I’m Happy, che mostra così chiaramente l’attitudine di Fletcher per la scrittura a sezioni e il suo uso della dinamica. Il passaggio dei sassofoni, così giustamente famoso, arriva dopo un chorus dominato da un ispirato assolo di sedici battute di Bunny Berigan, ed esso stesso non dura più di un mezzo ritornello. È assolutamente rivoluzionario, come il celebrato classico di Coleman Hawkins Body And Soul, e negli anni Novanta mantiene la stessa freschezza che aveva nel giorno in cui fu registrato la prima volta. Con Goodman che pagava le orchestrazioni, Fletcher poteva ancora cogliere il momento giusto per riunire e dirigere un’orchestra, e portò quella che può essere stata la sua formazione più debole al Roseland nell’estate del 1935. Ma più avanti nell’anno riorganizzò il gruppo e se ne venne fuori con una delle più grandi fra le sue orchestre, in cui c’erano Roy Eldridge, Chu Berry, Buster Bailey, John Kirby e , per qualche mese della sua esistenza, Sid Catlett alla batteria. L’orchestra avrebbe suonato al Roseland, tenne un’importante scrittura di nove settimane al Grand Terrace di Chicago e si guadagnò un contratto con la Victor Records, per la quale avrebbe inciso una registrazione di enorme successo di Christopher Columbus. Per coincidenza, l’orchestra di Goodman stava allora godendo di una scrittura di sei mesi al Congress Hotel di Chicago, cosa che procurò un’ottima pubblicità!Quando l’orchestra di Fletcher terminò il suo ingaggio al Grand Terrace, sostituita dall’appena formata Count Basie Band di Kansas City, Fletcher si rese conto che la formazione di Basie aveva un grosso problema. Con una trasmissione radiofonica ogni sera, e non potendo usare i suoi numerosi arrangiamenti originali-quasi tutti creati senza che fossero scritti- al prestigioso Terrace, Basie si ritrovò con un numero penosamente ristretto di arrangiamenti utilizzabili. Guadagnandosi eterna gratitudine, Fletcher arrivò a prestargli molti dei lavori che usava abitualmente, un gesto generoso che per Basie significò la salvezza. Le orchestre di Earl Hines, Henderson, Andy Kirk e Louis Armstrong avrebbe avuto un rifugio sicuro negli ingaggi al Grand Terrace per diversi anni, durante i quali il club si trasferì in una nuova sede. In quel periodo, l’orchestra di Fletcher, come molte altre orchestre americane, si sarebbe rimessa sulle strade e in qualunque direzione l’avessero costretta le scritture. La routine continuò senza cambiamenti fino a giugno del 1939, quando Fletcher, messo di fronte a folle sempre più piccole, a crescenti problemi di disciplina tra i musicisti e all’assenza di personalità chiave che invece non mancavano nelle altre orchestre, accettò finalmente un’offerta a lungo termine di Benny Goodman per unirsi a lui in qualità di arrangiatore fisso con un salario di 300 dollari alla settimana. Non gli fa molto onore il fatto che se ne fosse semplicemente andato via senza guardare in faccia i suoi uomini, diretto all’orchestra di Goodman che allora si trovava in California. Dopo circa sei mesi nella scuderia di Goodman, era esausto, e fu costretto a prendere un congedo per curarsi un occhio. Goodman gi aveva assegnato il posto di pianista sia nel orchestra sia nel sestetto, oltre ai suoi compiti di arrangiatore, e questo era stato troppo. Tornò per un breve periodo, quando il suo posto al pianoforte era stato passato a Johnny Guarnieri, ma nel gennaio del 1941 era fuori dall’organizzazione, con la benedizione di Goodman, ed ancora una volta alla testa di una propria orchestra, debuttando al Roseland e restandovi fino alla fine di aprile, sempre continuando a tirar fuori arrangiamenti per Goodman. Da allora fu una dieta rigida fatta di tournèe in quello che per gli Stati Uniti era un periodo di guerra, con una sola seduta di registrazione per la Columbia. Seguirono due altri anni col pubblico che continuava a diminuire e con orchestrali poco noti finché, nel 1945, Fletcher tornò a lavorare una volta di più per l’organizzazione di Goodman. Nel 1949, sembrò che la storia si ripetesse quando divenne l’accompagnatore di Ethel Waters in un suo tour. Come la sua mente deve aver fatto un balzo indietro fino a quasi trent’anni prima, ai giorni in cui erano entrambi giovani e ambiziosi! Ma anche questo sarebbe finito, quando l’ipertensione lo costrinse ad abbandonare la strada. L’anno seguente cercò di fare un altro rientro, rimettendo insieme una nuova band per un ingaggio di due settimane alla Savoy Ballroom, seguite dalla partecipazione ad una rivista musicale al night club Bop City tra la Quarantanovesima e Broadway, intitolata “ The Jazz Train”. Fletcher aveva scritto la partitura e J.C. Johnson, anche lui veterano di Tin Pan Alley, i testi. Nonostante le buone critiche, nelle quali l’orchestra veniva elogiata, lo show ( e con lui lo stesso club) chiuse dopo due o tre settimane. Il locale riaprì dopo due settimane con un nuovo nome, The Paradise, e continuò con “ The Jazz Train”. Va notato l’inserimento del giovane Harry Belafonte nel cast ricostituito. Ancora una volta, tuttavia, l’affare fu cancellato, e la chiusura definitiva venne dopo meno di un mese. Da quel che restava della band della rivista, Fletcher organizzò una formazione di sei musicisti e debuttò al Cafè Society Downtown, nel Greenwich Village. Dopo quella che pareva una vita di lavoro con una big band, Fletcher si trovò a doversi adattare ai limiti di una piccola formazione, ma, confidandosi in una intervista con il celebre critico Leonard Feather, espresse la speranza di poter presto scrivere materiale utilizzabile dal sestetto. I musicisti erano, come sempre, di prima categoria: Dick Vance, tromba, Eddie Barefield, clarinetto, Lucky Thompson, sassofono tenore, John Brown, contrabbasso, e il vecchio batterista di Lunceford Jimmy Crawford, con lui stesso al piano. Ma la fine non era lontana, dopo una pesante serata, il 21 dicembre fu colpito da un leggero attacco cardiaco e fu portato a casa perché si riprendesse. Non sarebbe più tornato sul palcoscenico, e restò invalido per i due anni seguenti, durante i quali fece un ultimo viaggio per andare a trovare sua sorella Irma, a Cuthbert e fu l’ospite d’onore in due occasioni speciali, una delle quali portò alla stampa di un long playing dell’originale Goodman Trio, i cui profitti furono divisi con Henderson, e l’altra fu una riunione degli orchestrali di Goodman, tra i quali c’era un Henderson pallido e stanco che se ne stette seduto per tutta la durata della festa organizzata per celebrare la pubblicazione da parte della Columbia di una serie di vecchie emissioni radiofoniche, intitolata “1937/38 Jazz Concert n. 2” (2). Il 29 dicembre 1952, fu abbattuto da un definitivo attacco di cuore, e morì poco dopo essere stato ricoverato all’Harlem Hospital. La vita di frustrazioni era finita. Ma ci si domanda se Fletcher Henderson fosse mai stato pienamente consapevole dell’eredità che avrebbe lasciato con i suoi impareggiabili arrangiamenti e con le sue immortali registrazioni orchestrali. Forse, quando qualcuno con uno strumento in mano apre le sue partiture, queste, per dirla con le parole di Walter C. Allen “mostreranno ancora una volta che non servono dieci ottoni, cinque ance, e un basso elettrico, e un batterista che sa solo pestare bidoni a tempo, per avere un’orchestra swing. Esse faranno ricordare ancora al mondo cosa significasse costruire una spina dorsale ritmica per King Porter Stomp”.

 
           
 
   
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