Muggsy Spanier
 
 
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Modesto, triste e dimenticato, grande Muggsy!

 

 


di Corrado Barbieri

 

 

jazznellastoriaIn realta' non eri triste, era solo la tua espressione che era cosi', o forse intristiva, nei primi piani dei dischi, quella mancanza di un dito mignolo, perso sotto un tram, che non ti impediva comunque di suonare la cornetta "come va suonata" nel jazz. Nessun sovracuto in alcun brano, un timbro rotondo e pieno. Un fraseggio che riprendeva si' quello di Louis, con cui avevi anche suonato una volta a inizio anni Venti con la band del Re Oliver, ma che aveva, che ha, inequivocabili passaggi alla Bix.
Poteva essere uno staccato alla Bix, oppure un legato di incredibile fluidita' e swing, come nel quartetto del 1940, con il futuro "dieu" francese, Sidney Bechet. E quella versione di That's a plenty, con lui, credo sia assolutamente inarrivabile proprio per quel legato e per uno swing travolgente.
Ma di inarrivabile ci fu anche un altro brano,meno reperibile in commercio, quella versione di Tiger Rag che lascia attoniti, sempre per uno swing stupefacente, ma anche per certi passaggi velocissimi e arditi. E quegli unisoni in crescendo? Che sembrano fucilate sparate dalla band ? Unici. A mio avviso un Tiger con cui possono competere solo le versioni del primo Ellington.jazznellastoria
E che dire dell'uso della sordina, in cui fosti maestro fin con qualche esagerazione nella frequenza d'uso. Avesti sempre con te grandi artisti, dai trombonisti George Brunis, il migliore, e Lou McGarity, a Pee Wee Russel, e sempre ottime sezioni ritmiche e pianisti di primo piano come Sullivan o Joe Bushkin.
Eppure dopo quegli anni d'oro 40/50 in cui in Italia ti scoprirono e ti scoprii, cadesti nel l'oblio. Molti revivalisti, S.Francisco style ed europei venivano preferiti negli ascolti. Ma il tuo posto nella storia e' la', incontestabile: nato artisticamente nella Chicago che vide il jazz classico nel suo piu' splendente fulgore, e sbocciato con sedute travolgenti e irripetibili negli anni '40. C'e' un brano in particolare il cui ascolto porta sempre, inevitabilmente a te, quell' At the jazz band ball che e' quasi una sigla, e una volta ascoltato da te, da altri non lo risenti volentieri. Grande Muggsy, che hai attraversato il jazz con modestia, senza il clamore che credo avresti meritato, sempre all'altezza, sempre in grado di farci raggiungere con alcuni brani, il pathos.

 
 
   
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