Il disco da portare sull'isola deserta
 
 
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Il disco da portare sull'isola deserta

di Adriano Pateri

 


Ci siamo tutti posti o ci hanno posto, in tempi diversi, la fatidica domanda.
Quale disco di musica, quale poesia, libro o altro portereste in esemplare unico con voi, nel caso doveste lasciare tutto e tutti per finire isolati su un'isola deserta?
Personalmente per la poesia esiterei tra 'L'Infinito' di Leopardi ed una lirica d'amore di Emily Dickinson dalla raccolta 'Nel giardino della mente'. Per il libro, ancora esitazione, tra "Memorie di Adriano" di Marguerite Yourcenar e "Bill Evans -'How my heart sings" di Peter Pettinger (perché la sua musica risuona costantemente nella mia testa e nel mio cuore).
Per un disco di musica classica , L'Adagietto dalla 5a sinfonia di Mahler diretto da Leonard Bernstein o le variazioni Goldberg di Bach suonate da Glenn Gould. Per il jazz, la scelta e la decisione è difficile e complicata per tutti. Ogni vero appassionato di jazz, in base al genere preferito, sceglierebbe tra decine, forse centinaia di grandi artisti afroamericani o bianchi, a cominciare da Armstrong, Waller, Ellington, giù giù fino al periodo swing e mainstream e poi al bop di Parker, Gillespie, Monk, al post bop dei giovani leoni, fino al 'free' di Coleman e Taylor per arrivare al cocktail contemporaneo in cui la connotazione autentica del linguaggio jazzistico si sta disperdendo in una musica 'globale' che molti si ostinano a chiamare ancora jazz.
Mentre per i dischi di classica, le poesie e i libri mi sono riservato due opzioni, per il jazz, stranamente, la scelta è solo una perché invece di concentrarla sui musicisti, preferisco tornare sulla mia inveterata passione per le cantanti, preferibilmente pianiste. Restringo quindi il campo e la mia scelta, senza tema di esitazione, cade quindi su un album di Shirley Horn intitolato "Here's to life', un titolo che oltre ad identificare un brano è soprattutto uno splendido ed entusiastico inno alla vita.
Innumerevoli critici e musicisti a livello mondiale hanno encomiato e celebrato l'arte vocale e pianistica di Shirley Horn, il suo senso del ritmo, lo swing brillante e deciso anche se spesso implicito, la straordinaria sensibilità armonica nei voicings dei suoi accordi, la sua dizione e bravura nel far brillare il significato delle liriche e da ultima, anche se non meno preziosa e significativa, la sua capacità di suonare e interpretare brani su un tempo incredibilmente lento... e più lento di quanto abbia mai fatto Erroll Garner. Lo stesso Miles Davis, suo mentore ed amico, le fece osservare benevolmente l'eccessiva infinita lentezza del tempo su talune ballads! Per qualunque musicista non è facile gestire correttamente e validamente certi tempi lenti. Il grande Johnny Mandel, che dirige i propri arrangiamenti nel disco, oltre ad elogiarla oltremisura, confessa di aver sempre seguito i suoi perfetti voicings nel renderli parte dell'orchestrazione e degli arrangiamenti. Parlando del pianismo e del canto di Shirley, Mandel azzarda perfino che la musicista usi due parti del suo cervello nel gestire con una il canto e con l'altra l'accompagnamento sempre appropriato e bellissimo. Uno dei complimenti più belli fatti al disco da un addetto ai lavori, il grande pianista Kenny Barron, è stato: "Questo è un album magico!"
Ne raccomanderei a tutti l'ascolto per godere di un universo musicale che esalta la bellezza e riscalda il cuore.

 
   
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